Come veneziana, condivido il rifiuto del famoso ticket d’ingresso a Venezia e l’ho spiegato sulla Süddeutsche Zeitung.
Ciao bella
Ah, com’era bello il turismo di massa: sotto il peso dei clienti di Airbnb, oggi Venezia è quasi sul punto di sprofondare. Eppure il Comune potrebbe difendersi
Di Petra Reski
Di recente sono stata nella Ruhr, la regione in cui sono cresciuta. E il tassista che spesso mi accompagna, non appena salita sul taxi, mi dice: “Adesso l’avete finalmente risolto il problema dei troppi turisti a Venezia!” Io: “Come? Risolto?” Lui: “Sì, ora bisogna pagare il ticket. Hanno già raccolto 1 milione!” Mentre sto inspirando profondamente, ride sotto i baffi per precisare che un tassista della Ruhr non se la beve facilmente: “Ma è chiaro che non ne arriverà uno di meno solo perché si deve pagare cinque euro per entrare?”, dice, per poi aggiungere: “Lei deve scrivere che è una cazzata!”
Molti dei 49mila veneziani superstiti si sono per l’appunto battuti affinché col progetto “ticket d’ingresso” la loro città non si riduca in un parco tematico a pagamento. Un comitato chiede agli amanti di Venezia di tutto il mondo di sbirciare dietro le porte nascoste dalla tappezzeria: per esempio domandando perché non sia prevista una soglia massima di presenze giornaliere, perché il ticket non valga per i periodi di maggior afflusso e nessuno sappia in che mani finiscano i dati.
Mentre il mondo si sta soffermando, come ipnotizzato, sui cinque euro del contributo d’accesso a Venezia, infatti, si perdono di vista i problemi: per esempio che ai 49mila veneziani fanno da contraltare oltre 50mila posti letto, di cui 22mila si trovano in appartamenti turistici, in una città abbandonata ogni giorno da tre abitanti dal momento che da questo parco divertimenti la vita quotidiana è stata bandita.
L’ultima azione di protesta di venessia.com ne è pertanto solo la naturale conseguenza. Dai ponti di Venezia i suoi attivisti col megafono hanno invitato i turisti in cinque lingue a farsi restituire il costo del biglietto qualora non abbiano apprezzato i luoghi di interesse: “Gentili visitatori, vi ringraziamo di aver scelto la città di Venezia. Vi ricordiamo che qualora le attrazioni non siano state di vostro completo gradimento, è possibile richiedere il rimborso del biglietto di entrata presso i nostri uffici. Ci auguriamo di vedervi presto”.
A quanti ora si consoleranno al pensiero di non rientrare tra i turisti di passaggio, tra quei seccatori che vanno arginati urgentemente, ma tra coloro che desiderano immergersi nella quotidianità veneziana e prendono in affitto un bell’alloggio vacanze su Airbnb o Booking.com, preferibilmente in un sestiere tranquillo come Cannaregio per sentirsi veneziani, va detto che la storiella dei bisognosi che danno in affitto una stanza per integrare le entrate non è mai stata vera. Grazie all’osservatorio veneziano sulla residenzialità – per Venezia una questione di sopravvivenza – Ocio, sappiamo che il 75 per cento dei locatori non vive in città e che l’appena il 5 possiede centinaia di appartamenti turistici, realizzando ben il 30 per cento del fatturato. Tra i profittatori della piaga Airbnb – oltre alle cimici da letto -, ci sono alberghi, assicurazioni e aziende che gestiscono un numero sterminato di alloggi: interi edifici residenziali sono stati di fatto adibiti a hotel senza essere stati sottoposti a una verifica urbanistica o fiscale. Per poter beneficiare dell’aliquota agevolata del 23 per cento per le locazioni brevi.
Città come Amsterdam o Barcellona intervengono massicciamente contro l’erosione degli spazi residenziali indotta dalla trasformazione delle case in alloggi turistici: nella capitale olandese gli host possono affittare i loro immobili per non più di 30 notti l’anno, in alcune zone sovraffollate del centro storico, le locazioni turistiche sono addirittura vietate. In quella catalana ai locatori è fatto divieto di dare in affitto una camera privata per meno di 31 giorni. I proprietari di appartamenti possono affittarli a breve termine ai vacanzieri solo disponendo della licenza urbanistica comunale. Un team dedicato controlla le offerte. In centro, dove c’è particolare affluenza, la concessione di nuove licenze è stata sospesa, e quelle già esistenti non vengono rinnovate se l’appartamento è stato venduto.
Anche Venezia già da due anni ha strumenti giuridici per disciplinare il mercato delle locazioni turistiche: gli appartamenti non possono essere affittati per più di 120 giorni l’anno, termine oltre il quale vengono considerati imprese turistiche, escluse dall’agevolazione fiscale. E gli appartamenti vanno dotati di fosse settiche.
Ma: tutto ciò andrebbe controllato. Se solo si volesse. Però Luigi Brugnaro non è solo sindaco di Venezia, ma anche delle località della terraferma di Mestre, Favaro e Chirignano, così come sindaco metropolitano dell’ex omonima provincia, la cosiddetta Città metropolitana di Venezia. Il numero di chi vi risiede è sedici volte quello degli abitanti di Venezia. Non subisce gli effetti del turismo di massa, ma ne trae profitto. Non sorprende perciò che il primo cittadino Brugnaro non attribuisca le cause della lenta agonia di Venezia ai prezzi proibitivi del mercato immobiliare, non alla mancanza di posti di lavoro estranei alla monocultura turistica e non alla carenza di infrastrutture – asili, scuole, studi medici -, bensì ad “alcune donne che vogliono fare un figlio e basta e chiedono di partorire con parto cesareo per non fare fatica”. E come se non bastasse, Brugnaro ha anche puntualizzato che alla fin fine non può forzare nessuno a viverci dato che: “Venezia si sta spopolando perché le persone muoiono”.
La realtà di Venezia ogni giorno di più assomiglia al distopico romanzo dello scrittore, cresciuto in città, Antonio Scurati. Che non solo ha osato criticare la premier, Giorgia Meloni, per non aver preso le distanze dall’eredità fascista del suo partito, ma nel suo romanzo ambientato nel 2092 La seconda mezzanottemostra anche una Venezia che, dopo una devastante alluvione, viene ricostruita da una multinazionale cinese come la Las Vegas della decadenza europea. Con la mareggiata del 2019 e l’introduzione del ticket, ci siamo avvicinati di un passo a questa distopia.
Traduzione dal tedesco di Stefano Porreca.