Può un paesaggio ricordarsi del proprio passato mentre gli uomini vanno a poco a poco dimenticando la loro storia? Un viaggio attraverso la Varmia-Masuria – l’ex Prussia orientale – alla ricerca di testimonianze
Di Petra Reski
Traduzione dal tedesco di Stefano Porreca
Da bambina non riuscivo a credere seriamente che la Prussia orientale fosse esistita. Ecco perché nessuno meglio di me può capire che il poeta e saggista, nativo di Allenstein, Kazimierz Brakoniecki abbia definito questo territorio «l’Atlantide del Nord». Per me era un Paese leggendario, frutto unicamente della fantasia dei miei familiari, i quali, al termine di ogni ricorrenza di famiglia, avevano l’abitudine di cantare e piangere mentre io e i miei cugini, sorseggiando la bevanda a base di liquore all’uovo, alzavamo gli occhi al cielo e pensavamo: eccoli che ricominciano.
D’altronde come avrei dovuto pensarla su un Paese su cui nel mio atlante Diercke si estendevano in caratteri maiuscoli le scritte «Nel periodo dell’amministrazione polacca» e «Nel periodo dell’amministrazione sovietica»? Trovavo l’espressione «Nel periodo» molto vaga. Da un atlante scolastico mi aspettavo più precisione. Forse che dalle otto e mezza all’una era posto sotto le amministrazioni polacca e sovietica e dalle tre alle sei sotto quelle finlandese e ungherese? E magari qualche giorno non c’era nessuno che l’amministrasse?
Solo quando, nel novembre del 1988, durante il viaggio da Varsavia a Danzica, me ne stavo all’impiedi accanto al cartello «Warmia i Mazury» fumando una sigaretta e la traduttrice polacca Hanna disse: «Varmia e Masuria», sentii crescere la curiosità. «La patria della tua famiglia», aggiunse, e ricordo quanto la parola «patria» mi infastidisse.
Per i miei familiari, era la terra natia, per me, un’ideologia. Per loro, era la foresta abitata dai marassi, il viale con gli sciami danzanti di zanzare, la foschia mattutina sopra i campi, i gradini in pietra e consunti davanti al Gasthof zur Ostpreußischen Schweiz, il nero del lago Waldsee, l’odore dei falò di scarti di patate. Per me, un garbuglio inestricabile di concetti tetri quali nazionalsocialismo, revanscismo e revisionismo.
Tutto ciò mi fu chiaro soltanto una volta arrivata nel paese d’origine di mio padre, un villaggio situato al centro di una piccola valle fluviale, circondata da colline e laghi scintillanti. Prima si chiamava Reußen, oggi Ruś, e sorge non lontano da Olsztyn, l’ex Allenstein. Per la verità, c’ero andata solo per trovare la conferma alla mia congettura che i miei familiari si fossero inventati tutto in qualche attimo di sentimentalismo: il cielo sconfinato della Prussia orientale, i laghi cristallini, il fiume con i granchi – le bellezze della «Svizzera della Prussia orientale», che mio nonno aveva costantemente decantato. Ma poi vidi l’insegna deteriorata del Gasthof zur Ostpreußischen Schweiz e incontrai delle anziane prussiane che si ricordavano ancora della mia famiglia. Più tardi conobbi perfino uno zio di secondo grado, Josef Reski. Finché non venne a mancare, ci tornai tutte le estati. Era come se dovessi ubbidire a una voce interiore. Una voce severa che parlava il prussiano dell’Est, non sapeva pronunciare la Ü e la Ö, aggrovigliava la R e non ammetteva contraddizioni.
E ora mi trovo nuovamente in questo «Paese delle foreste oscure e dei laghi cristallini» e penso: datemi un pizzicotto perché, con questo straordinario tramonto, sul lago di Wulping una barchetta da pesca sta navigando contro gli ultimi bagliori del crepuscolo. In realtà lo penso ogniqualvolta guardo questo cielo, che pare un’immensa pala d’altare. Il cielo nostalgico della Prussia orientale, talmente vasto e luminoso da sembrarti che dalle nuvole precipitino santi.
Il lago di Wulping appartiene alla regione dei laghi della Varmia, benché ufficialmente esista solo la regione dei laghi della Masuria, cosa per la quale mia nonna, cui premeva sempre differenziarsi dai masuri di fede protestante, si sarebbe indignata: la Masuria ha incorporato la Varmia fondendosi nel voivodato della Varmia-Masuria, una delle regioni di villeggiatura più amate della Polonia – al tempo stesso una salvezza e una disgrazia. Il lago di Wulping è uno degli specchi d’acqua dalle sponde ancora intatte – senza complessi alberghieri e senza imbarcazioni a motore.
Come d’abitudine, mi reco in pellegrinaggio nei medesimi posti: a Frombork/Frauenburg, ai bordi della laguna della Vistola, dove l’aria sa di mare, le torri della cattedrale svettano nel cielo a mo’ di punte d’ago e alle cinque il suono del carillon si propaga nell’aria. Così come sul viale di querce che conduce al villaggio di Sztynort, l’ex Steinort, ubicato nella tenuta della famiglia Lehndorff. Soltanto a partire dal 2009 una lapide commemora il conte Heinrich von Lehndorff, l’ultimo signore di Steinort, che aderì al movimento del 20 luglio e fu giustiziato in seguito al fallito attentato.
Steinort ha visto susseguirsi innumerevoli proprietari e investitori i cui progetti nel giro di pochi anni si sono perlopiù risolti in un nulla di fatto, motivo per cui il castello è andato via via cadendo in rovina. Grazie alla deutsch-polnische Stiftung für Kulturpflege und
Denkmalschutz, ora pare essere stata trovata una soluzione. Un gruppo di tecnici edili tedeschi l’ha salvato dal crollo per trasformarlo in un centro di documentazione e cooperazione dell’Europa orientale.
E naturalmente non può mancare Sorkwity, già Sorquitten, col suo castello in stile Tudor, che con quei merli sembra come se si fosse smarrito sulla strada per la Scozia. Nella chiesa protestante del paese, la cui loggia nobiliare era riservata ai signori locali e sul cui blasone con le corna di alce vi si trova scritto «Leide und meide» («Sopporta e astieniti»), la questione dei santi che precipitano dal cielo della Prussia orientale è stata presa molto seriamente: un angelo battesimale dalle dimensioni di un essere umano si libra dal soffitto e sopra la sua testa i piedi di Cristo svaniscono tra le nuvole.
A Święta Lipka, come si chiama in polacco il monastero barocco di Heiligelinde, presto omaggio a un’anziana prussiana, alla quale ho portato dell’acqua benedetta all’interno di una madonna bianca in plastica. Come al solito, il monastero è assaltato da carovane di pullman e frotte di pellegrini, che seguono col naso all’insù il concerto d’organo con la Vergine che si muove a scatti e gli arcangeli che si dimenano, e acquistano concitati i CD con la musica d’organo da preti col fiuto per gli affari. E a Gietrzwałd/Dietrichswalde, meta di pellegrinaggio della Varmia dove la Vergine Maria è apparsa a due giovani devote, rendo omaggio allo zio ritrovato Josef. Il quale diceva sempre che Dietrichswalde è come Lourdes: «Und, verstehjist, Pejitrra, die Erschejinung, die ist festgestellt vom Papst sogar!» («E capisci Petra, l’apparizione è stata perfino accertata dal Papa!»)
E ovviamente visito anche la Wolfsschanze (la Tana del lupo), l’ex quartiere generale del Führer, situato nella foresta di Rastenburg/Kętrzyn, teatro del fallito attentato a Hitler. Oggi ci sono sentieri lastricati, cartelli informativi e buone audioguide – il complesso tuttavia andrebbe spogliato anche dei cimeli militari: meno mine e cartucce che portachiavi, meno caratteri gotici e cartonati di carri armati, visto che l’area è già di per sé sufficientemente spettrale.
L’agglomerato in rovina di ottanta bunker attrae 200mila visitatori l’anno, cui da qualche anno all’interno di una baracca ricostruita viene offerta la possibilità di rabbrividire alla vista di fantocci vestiti dell’uniforme della Wehrmacht, fedelmente riprodotta, e disposti attorno al tavolo da carteggio: con Hitler al centro e la borsa con l’esplosivo piazzata a destra, al di sotto del tavolo.
Dal mio primo incontro con quest’Atlantide, non ho mai smesso di andare alla ricerca di testimonianze, dal punto di vista geografico quanto da quello emotivo. E mi sono posta le stesse domande che si è posto Robert Traba, storico polacco e fondatore dell’associazione culturale Borussia: «Cosa accade quando una frontiera nazionale svanisce?», «Può un paesaggio ricordarsi del proprio passato?» Edicole stradali in mattoni rossi, i simboli della cattolica Varmia, scuole, castelli, rocche e poderi in clincher: le icone di questo paesaggio culturale a ogni passo ci riportano alla mente il passato.
In Varmia-Masuria quasi un abitante su due ha una storia da profugo alle spalle: nell’ex Prussia orientale, da cui nel 1945 fuggirono 2 milioni di persone, furono ricollocati i polacchi espulsi dalla Lituania e dall’Ucraina. Al giorno d’oggi vi vivono le minoranze tedesca, lituana e ucraina. La cui solidarietà, proprio ora che più di 2 milioni di ucraini hanno trovato riparo in Polonia, è tornata a svolgere un ruolo centrale.
Nella mia ricerca di testimonianze vengo aiutata dall’associazione culturale Borussia: a fondarla nel 1990 fu un gruppo di giovani storici e intellettuali polacchi che intendeva sgomberare il proprio passato dal groviglio della storiografia comunista – e parlare finalmente dell’allontanamento degli ucraini verso la Prussia orientale, della deportazione dei lituani, dell’espulsione dei tedeschi e dello sterminio degli ebrei. Borussia ha salvato dal degrado e dall’oblio antichi castelli eretti sul suolo della Prussia orientale e tombe di guerra di soldati caduti in entrambi i conflitti mondiali e ha restaurato l’ultima testimonianza della vita ebraica di Allenstein: nella «casa della purificazione» progettata dall’architetto Erich Mendelsohn, ha creato un centro interculturale.
Borussia promuove l’impegno civico e sociale in Polonia, Lituania, Russia, Ucraina e Bielorussia. Il passato tedesco-polacco della Varmia-Masuria non va ulteriormente rimosso, ma considerato come parte dell’eredità culturale – anche allo scopo di gettare un ponte tra i vecchi e i nuovi abitanti. Borussia incoraggia progetti di ricerca sulla storia regionale, tagliata fuori dalle aule dell’odierna Polonia. «I giovani polacchi non conoscono la storia della loro regione», sostiene la presidente di Borussia, Kornelia Kurowska. La fondazione culturale ha or ora istituito il festival di Mendelsohn, con oltre trenta eventi, tra questi anche un dibattito sull’assassinio dei pazienti della clinica psichiatrica di Kortowo/Kortau durante il nazionalsocialismo.
E con «ricordare» oggi non intendono più il periodo prima del 1945, bensì anche quello antecedente alla caduta del Muro, quando la corsa socialista all’industrializzazione trascurò questo angolo di Polonia e gli investimenti andarono all’industria pesante dell’Alta Slesia e ai cantieri navali di Danzica, ma non all’agricoltura, considerata arretrata. A distanza di molto tempo dalla svolta, in Varmia-Masuria non c’era ancora nessuna industria, salvo una fabbrica di pneumatici ad Allenstein, una salvezza per il paesaggio, una disgrazia per le persone: i laghi conservarono inalterato il loro colore cristallino, le foreste la loro sconfinata estensione, perfino i castori tornarono a frotte – e i giovani fuggirono. Verso i grandi centri urbani, a Varsavia, Danzica e Sopot. Alla fine degli anni 80, molte persone di sangue tedesco lasciarono il Paese in cerca di fortuna nell’Europa occidentale, ragion per cui a vivere nelle variopinte casette con giardino antistante rimasero solo delle vecchie signore, che se ne stavano sospirando a ridosso del recinto in attesa che i loro figli facessero loro visita.
Oggigiorno queste vecchie signore sono defunte – e i loro appezzamenti vengono messi in vendita: Reußen, il paesino d’origine di mio padre, da povero villaggio di boscaioli si è trasformato in un idilliaco sobborgo di Olsztyn dove i dentisti dell’ex Allenstein si sono comprati begli appezzamenti attigui ai corsi d’acqua e costruiti case con gigantesche terrazze.
Lo scorso decennio, l’incantata Varmia-Masuria si è vista una volta per tutte catapultare nel presente: una rete autostradale ha lasciato sul volto del paesaggio degli squarci a quattro corsie, il centro di Sorquitten è stato tagliato in due, nei pressi di Szczytno/Ortelsburg è sorto un aeroporto regionale, nuovi quartieri residenziali assediano i villaggi di un tempo e sulle sponde di placidi laghi si costruiscono alberghi di massa.
Polonia, questo è puro neoliberismo, il mercato non si ferma neppure davanti all’Atlantide del Nord. «Il capitale sta scoprendo la Varmia-Masuria», afferma Kornelia Kurowska, «stanno dappertutto costruendo all’impazzata». La situazione si è fatta talmente tesa che a Reußen si è costituito il comitato civico Stowarzyszenie Miłośników Rusi nad Łyną (Associazione degli amici di Ruś sulla Łyną), il quale è riuscito a bloccare la costruzione di una cava di ghiaia e di una struttura alberghiera sulle sponde del lago di Kielary/Kellaren. Al momento si sta battendo contro la realizzazione di un quartiere residenziale e di un complesso turistico sul lago di Łańsk, nel mezzo di quell’area boschiva di mille ettari che l’amministrazione polacca provvide di una recinzione. Questa zona chiusa, nella Repubblica popolare di Polonia, fungeva da spazio ricreativo e riserva di caccia per la nomenclatura di Varsavia e i suoi ospiti di riguardo.
Al tempo dei lockdown e del conseguente smart working sempre più polacchi hanno scoperto i benefici della vita rurale della Varmia-Masuria – primi fra tutti gli appezzamenti economici a poca distanza dalla città, a quanto racconta Zofia Rzepecka degli Amici di Ruś sulla Łyną: «Sì, qui a Ruś sono in molti a trovare che l’impegno a favore della tutela di questo paesaggio culturale e della conservazione storica sia cosa buona e giusta. Ma in altrettanti vorrebbero vendere i loro appezzamenti».
Tutti i governanti hanno tentato di adattare questo paesaggio alla loro personale storiografia, eppure esso è rimasto sempre sé stesso. Con i pini silvestri sulle rive del lago di Mamry, che ondeggiano al vento come se si stessero preparando per una lunga camminata, e la solitudine per le strade che si snodano non lontane dal confine con la Russia. Ora la questione è: per quanto tempo ancora questo paesaggio si ricorderà del proprio passato?