Sangue, fatica, lacrime e sudore

Foto ©Shobha

In questi giorni ho fatto delle ricerche per un articolo sul Mose. E mi sono ricordata del fatto che un sindaco voleva far mettere una targa sul Mose con la scritta: “Questo è un’opera che i veneziani non hanno voluto”. Avrebbe potuto fare di più, un gesto eclatante piuttosto di una targa, ma va bene, lasciamo stare …

Quello che temo è che, se tutto continua come adesso, in un futuro non troppo lontano, da qualche parte a Venezia ci sarà una targa dove sarà scritto: “Questo è quello che rimane di una città che non siamo riusciti a difendere.”

La mia Venezia

Vi voglio raccontare cosa significa Venezia per me. Quando ho conosciuto il veneziano della mia vita, non sapevo nulla di Venezia. Ero stupita quando sono arrivata alla stazione e ho dovuto scoprire che qui avevano seriamente rinunciato a costruire delle strade. È stato questo mio veneziano che mi ha trasmesso l’amore per Venezia, il modo di vivere così diverso da qualsiasi altro posto del mondo, di vivere in nientemeno che una meraviglia del mondo. E questo ve lo dice una che è cresciuta nella regione della Ruhr. Dove sono cresciuta io si vedeva un capitello rinascimentale forse in museo, semmai. Sono cresciuta in una zona costruita e pensata esclusivamente come dormitorio per operai, per minatori – a proposito: mio padre era minatore ed è morto a 27 anni sottoterra. Se uno considera l’architettura come un’espressione di amore per gli uomini, come orgoglio per la storia, si può dire che nella Ruhr di quei tempi, non c’era né amore, né orgoglio.

Questo sono stata io quando sono arrivata qui. Era una Venezia diversa, c’erano ancora delle contesse in Harry’s Bar, e mi ricordo che all’ingresso del Florian c’era sempre seduto un vecchio generale davanti al quale tutti si inchinavano. Era una Venezia in cui si sentiva solo parlare veneziano nelle calli e vi devo confessare che all’inizio ho odiato il veneziano, perché mi sentivo esclusa quando si parlava in veneziano. Solo piano piano ho capito che la lingua per i veneziani era un rifugio, forse un’ultima illusione di riservatezza nella città più pubblica al mondo. L’ho capito quando ho assistito ad un pezzo di teatro di Goldoni, era “Il servitore di due padroni”, interamente in veneziano, io non ho capito una solo parola, mentre i veneziani accanto a me cadevano dalle sedie dal ridere. Era nel teatro Ridotto. Un bellissimo teatro rococò – che oggi non esiste più, si è trasformato in una sala di ristorante che appartiene ai Benetton.

Lo scempio degli ultimi 30 anni

Poi ho visto sparire i veneziani. Ho dovuto assistere alla svendita di Venezia e la mia unica arma era descriverla. Abbiamo fatto anche un film con il titolo “Gli ultimi Veneziani”. Quando l’abbiamo fatto, eravamo 30 000 abitanti più di oggi.

Ho assisto a tutto, alla costruzione del Mose, a tutto lo scempio degli ultimi 30 anni. Ho visto tutto. E devo dire che avevo abbandonato tutte le speranze – fino a novembre dell’anno scorso. Non ho mai visto i veneziani così entusiasti, così coinvolti, così appassionati come in queste settimane di campagna referendaria. I dibattiti si sono trasformati in assemblee popolari, Teatro Goldoni è stato travolto; quella mattina all’Ateneo neanche l’acqua alta è riuscita a scoraggiarci: abbiamo applaudito, fischiato, abbiamo perso le staffe, tanto che si aveva la sensazione di sedere nella curva dei tifosi del Venezia FC.

 Al di sopra dei partiti

Eravamo una grande coalizione al di sopra dei partiti, sostenuti da scrittori, intellettuali, artisti. Eravamo uniti. Ed è quel entusiasmo che non dobbiamo perdere. Costruire una lista di associazioni è un’impresa ardua, ma ci troviamo al punto di non ritorno.
Il referendum non era una lotta per la separazione, ma per la dignità. Per la dignità di Venezia e di Mestre.

Siamo in guerra

Non ci sono più partiti, si tratta solo della nostra sopravvivenza. Ricordiamoci che non c’è stato UN partito politico che si è mai impegnato per Venezia – se non per arricchirsi.

Siamo in guerra. E questa è la nostra ultima battaglia.

E per questo voglio ricordare solo tre punti fondamentali per Venezia:

1. VENEZIA È LAGUNA
Non si può̀ salvare Venezia con i suoi beni culturali senza salvare la laguna: rappresenta il nostro polmone e la difesa della nostra salute, lottiamo per la sua rinaturalizzazione. Venezia va protetta da decisioni i cui interessi sono altrove (lo scandalo MOSE insegna). Non possiamo più fornire il valore aggiunto per multinazionali.
2. VENEZIA COME CITTÀ STATO – STATUTO SPECIALE
La popolazione di Venezia è più che dimezzata in 50 anni: la nostra lotta per uno statuto speciale di Venezia è una lotta per la sopravvivenza di una cultura millenaria contro la mercificazione della nostra vita quotidiana. E questo vale sia per Venezia che per Marghera che per Mestre.

(E qui voglio tornare alla Ruhr: Oggi non ha più da fare con la Ruhr degli anni della mia infanzia, la Ruhr è diventata una zona risanata, modernizzata, bonificata. Il cielo sulla Ruhr è azzurro, non c’è più una traccia delle montagne di carbone, la Ruhr è la più colossale riconversione industriale del mondo: Questo deve essere lo scopo per Mestre e Marghera.)

3. VENEZIA COME LABORATORIO PER IL FUTURO
Venezia deve trasformarsi in un laboratorio per l’umanità, in un simbolo della lotta contro i cambiamenti climatici, in un modello per il futuro.

La nostra ultima battaglia

Adesso dobbiamo andare oltre. Qual è il nostro scopo? La vittoria. Senza una vittoria qui per noi non c’è più sopravvivenza.

La nostra battaglia non sarà facile, ma non abbiamo nessun’ altra scelta.

E mi permetto di chiudere con Churchill: Da offrire non abbiamo altro che sangue, fatica, lacrime e sudore.