“Il turista è una persona con un risentimento celato. Uccide. Non avverte i veneziani con cui entra in contatto, non li vede. Oppure non stabilisce alcuna relazione tra essi e Venezia eccetto quando, forse, egli trova che un mendicante abbia il profilo di qualche doge.”
Fu Jean Paul-Sartre a scrivere queste parole. All’inizio degli anni Cinquanta. Oggi il suo grazioso bon mot non corrisponde più a verità. Innanzitutto, perché non ci sono più veneziani (allo stato attuale meno di 53.000, e la tendenza è al ribasso) con cui il turista deve temere di entrare in contatto. E per seconda cosa, perché la stragrande maggioranza dei visitatori di Venezia non ha nessuna idea di cosa siano i dogi. I turisti però sanno che Venezia si trova in mezzo all’acqua e dove si trovano “le più belle location Instagram, lontane dai flussi del turismo di massa”, sanno dove possono fare un pic-nic in riva al Canal grande e che si risparmia sul conto salato del viaggio in gondola se si scattano le foto da un traghetto il cui biglietto costa solo due euro. In fin dei conti siamo solamente un intralcio per i turisti che vagano per le calli con i loro trolley perché non trovano su Google Maps l’alloggio prenotato con Airbnb oppure quando questi vogliono utilizzare ilvaporetto per fare il giro turistico giacché hanno letto che i tour sui battelli turistici, attraverso la laguna, sono più costosi.
Il turismo come la maledizione dei nostri giorni
Grazie ai voli a basso costo, ad Airbnb e alle navi da crociera, il turismo si è trasformato nell’industria e nella maledizione dei nostri giorni. Neppure la peste del 1631 fu così efficace nell’eliminare gli ultimi veneziani rimasti come ha fatto Airbnb: non esistono limitazioni, è sufficiente una richiesta in carta semplice. E come se non bastasse, finanziatori cinesi stanno facendo costruire nuovi hotel a Mestre: 4800 posti letto – e altrettanti turisti giornalieri.
Il responsabile di tutto ciò è il programma politico dei sindaci di Venezia degli ultimi trent’anni che si può riassumere con “i veneziani fuori, i turisti dentro”. (E a chi a questo punto controbatterà che “è colpa dei veneziani stessi, bisogna votare nel modo giusto”, faccio notare che Venezia è stata costretta a un matrimonio forzato con la terraferma dove vive la stragrande maggioranza degli elettori) Dal 2015 Venezia è governata dall’imprenditore Luigi Brugnaro – a suon di tweet come Salvini e di conflitti di interessi come Berlusconi. Come i suoi predecessori, anche lui aderisce al credo fondamentalistico del turismo di massa come un jihadista: chi non vi presta fede, viene decapitato.
I tweet dalla villa in terraferma
Nei giorni di festa e in estate le calli di Venezia giungono al collasso, motivo per il quale gli esperti mondiali di turismo parlano di “Venice model“ quando vogliono addurre un esempio di come il turismo di massa distrugge una città. Quando la sindaca di Barcellona ha dichiarato che la sua città “non deve fare la stessa fine di Venezia”, è stata duramente attaccata dal sindaco Brugnaro. Questi vive in una grande villa situata a Mogliano Veneto da dove nei giorni di festa – quando, a causa dell’assalto incontrollato alle fermate dei vaporetti, si assiste a scene apocalittiche e i turisti mordi e fuggi (il 90 per cento dei visitatori) lasciano dietro di sé tonnellate di rifiuti – twitta su come non si possa chiudere Venezia.
Il mio programma: più tabù!
“Tutte le sciagure degli uomini provengono dal fatto che essi non sono in grado di restare tranquilli dentro ad una stanza”, affermò il filosofo francese Blaise Pascal. Quant’è vero. Se dipendesse da me, se fossi io quindi il sindaco di Venezia, non mi renderei ridicola posizionando un paio di vigili urbani dietro ai tornelli, una misura che contro l’assalto delle masse è efficace tanto quanto il tentativo di sollevare l’acqua. Neppure per un secondo, inoltre, mi passerebbe per la testa che una tassa di ingresso dissuaderebbe i turisti dal visitare Venezia.
Il mio primo atto ufficiale sarebbe quello di organizzare un’ora di psicoterapia per le persone che si lasciano cadere per terra per consumare i panini al sacco. Certo, poi vi sarebbero i furbacchioni che si porterebbero appresso tavolini e sedie da campeggio, ma gli terrei testa in ogni caso.
Soprattutto però farei mettere a punto una campagna pubblicitaria mondiale allo scopo di instillare nelle persone un limite morale che le faccia desistere dall’annientare lo spazio vitale di altre persone. Una campagna pubblicitaria che dichiari un tabù il turismo. Non così grave come la pedofilia, ma quasi.
Sottrarre abitazioni alle persone o appestare l’aria con i gas di scarico delle crociere dovrebbe essere imbarazzante tanto quanto dare la caccia agli elefanti o indossare cappotti di pelliccia. Chi trova il coraggio di ammettere che è arrivato a Venezia con un volo asoli 29,99 euro solo per scattare un selfie in Piazza San Marco dovrebbe risultare ripugnante tanto quanto qualcuno che ammette di fare ai ferri piccoli cani.
Chi guarda Venezia dall’alto di una crociera, la quale allontanandosi dalla città lascia dietro di sé una scia di disastri – dalle polveri sottili alla pressione dell’acqua che rovina le fondamenta della città –, dovrebbe temere di essere considerato alla stessa stregua di quelli che dopo un paio di bicchieri di birra ammettono di guardare volentieri film pedopornografici.
Anzi, caldeggerei per reintrodurre ancor più tabù. La democrazia è alquanto sopravvalutata. E per giungere a questa conclusione non ho dovuto guardarmi prima “House of cards”. L’italiano al mio fianco mi guarda come una sovrana del terrore da quando per errore ho detto di appartenere a un gruppo sanguinario: una definizione che ha trovato più adeguata per una tedesca rispetto al banale gruppo sanguigno. E giacché qui in Italia viene naturale pensare che il tratto dispotico, viste le mie origini, sia da ricercare nel mio sangue allo stesso modo di Sturmtruppen, il fumetto comico su una unità militare tedesca tanto dinamica quanto sventurata che in Italia ha riscosso un successo leggendario, parto già da una evidente affermazione elettorale.
Credete che non avrei nessuna chance? Anche di Trump lo si è detto.
Traduzione dal tedesco di Stefano Porreca