I benefattori dei Benetton

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Il crollo del ponte in Italia: nella ricerca dei responsabili i Benetton finiscono nel mirino dei critici. Ai fratelli spetta la manutenzione di ampi tratti autostradali.

In questi giorni convulsi, dopo il crollo del ponte Morandi, in molti sono inciampati in scelte lessicali equivoche: “Questo è il nostro Ground Zero”, ha commentato il sindaco di Genova. Diventa così inevitabile chiedersi: e chi sono allora i terroristi? Le società come Autostrade per l’Italia, proprietà della famiglia Benetton che gestisce sostanzialmente metà dell’intera rete autostradale della penisola? O i politici italiani che le hanno generosamente affidato la gestione delle autostrade?

43 persone sono morte sotto il peso delle macerie – alla vigilia di Ferragosto, festività tutta italiana che si trascorre tradizionalmente a tavola per un ricco pranzo in compagnia di parenti o amici. Per la dinastia dei Benetton, invece, il pranzo in famiglia si è trasformato in una catastrofe delle pubbliche relazioni: se agli occhi degli italiani i Benetton, impiegando due giorni interi prima di dichiarare il loro cordoglio, hanno dimostrato scarsa sensibilità, sono rimasti sconcertati nell’apprendere che la famiglia di imprenditori veneti non si sia preoccupata dopo la tragedia di rinunciare al pranzo di festa organizzato nell’elegante Cortina.

L’indelicatezza dimostrata lascia senza parole. Dopotutto i Benetton sono diventati ricchi e famosi proprio grazie all’acuta politica delle pubbliche relazioni. Hanno sempre preso le parti dei deboli. Foto come quelle di un malato terminale di AIDS o di un gruppo multietnico di giovani che si abbracciano hanno portato l’impresa al successo. Con un maglione Benetton si poteva compare una visione del mondo e in questo modo i Benetton si sono comprati un impero.

Di gesti filantropici nemmeno l’ombra quando l’ad di Autostrade per l’Italia, a distanza addirittura di alcuni giorni dalla tragedia, ha negato a più riprese l’esistenza di qualsiasi preallarme sulla pericolosità del ponte. Anche il manager responsabile della sicurezza non ha fatto che ripetere continuamente la stessa litania della perfetta stabilità del ponte. Non ci sorprende se si considera che le autostrade gestite dai Benetton non vengono controllate da esperti imparziali, ma da specialisti incaricati dalla società.

Con freddezza il responsabile della sicurezza ha invitato le famiglie delle vittime ad attendere le sentenze della magistratura per individuare i responsabili. Questo invito in Italia, dove i processi durano all’infinito, suona come una minaccia.

L’86 per cento della rete autostradale italiana si trova a partire dalla fine degli anni ’90 in mani private. Nella corsa alle concessioni i Benetton hanno gareggiato sulla corsia di sorpasso. Grazie ai favori elargiti da tutta la classe politica, da destra a sinistra, le autostrade si sono potute trasformare nei “bancomat dei Benetton”, come le ha definite il capo dell’Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico locale.

Nel 2017 l’utile lordo è ammontato a 2,4 miliardi di euro, i quali tuttavia non sono stati reinvestiti nella manutenzione delle autostrade, ma nell’acquisizione dell’ aeroporto di Nizza e di quote del più grande concessionario autostradale spagnolo e della società che gestisce l’Eurotunnel. Tutto ciò è stato possibile grazie ad alcune clausole bizzarre contenute nei contratti e il cui testo esatto doveva rimanerecoperto da segreto. “Lo Stato ha abdicato”, ha affermato il procuratore di Genova. In altre parole si potrebbe dire: la democrazia non è una cosa da codardi.

Tutti gli italiani di una certa età ricorderanno le sinfonie di giubilo che intonarono i politici italiani e i media quando il governo Prodi a metà degli anni ‘90 proclamò: “privatizzare o morire”. Non vennero vendute solo banche, stabilimenti industriali e la Telecom, ma anche le autostrade.

Il mercato si autoregola, si diceva, le imprese private sono meno onerose dello Stato. Solo in questo modo si sarebbe potuto abbattere il debito pubblico e introdurre l’Euro. Operazione riuscita, paziente morto: l’indebitamento italiano continua ad aumentare e il patrimonio statale è stato quasi interamente venduto.

I Benetton hanno ripagato i benefici ricevuti con donazioni ai partiti e in un secondo momento con elargizioni di denaro alle fondazioni vicine ai partiti, soprattutto di sinistra, ma anche di destra. In Veneto si sono occupati della campagna elettorale del Presidente della Giunta regionale della Lega: Luca Zaia che per loro si straccia le vesti, soprattutto da quando i ministri del Movimento Cinque Stelle hanno annunciato di voler revocare la concessione ai Benetton.

Grazie ai loro rapporti con il potere politico hanno potuto godere di un trattamento di favore nelle assegnazioni e nella stipula dei contratti. I privilegi riservati alla famiglia di industriali comprendono anche il decreto di Berlusconi “Salva-Benetton” (aumento dei pedaggi senza tenere conto dell’inflazione) e la proroga del termine di scadenza della concessione al 2042, varata l’anno scorso dal Ministro dei trasporti Graziano Delrio. La giustificazione fornita all’Ue è stata che i Benetton si sarebbero occupati della costruzione della Gronda, un altro tratto autostradale attraverso la valle genovese. Il progetto è stato duramente attaccato dal M5s della capitale ligure: il risanamento e la trasformazione del ponte Morandi in autostrada a quattro corsie avrebbero avuto un costo inferiore e un minore impatto sulla valle e i suoi abitanti.

Ai funerali di Stato a Genova gli unici due esponenti del PD a presentarsi sono stati entrambi fischiati. Il Presidente della Repubblica, i ministri del Movimento Cinque Stelle e il capo della Lega Salvini invece sono stati accolti da lunghi applausi. In loro gli italiani ripongono la fiducia di vedere condannati i responsabili. Tuttavia, gli italiani non amano solo crearsi i propri idoli, ma anche buttarli giù dal piedistallo. La smitizzazione è una passione nazionale. Anche se a volte si fa attendere per anni. Tutti quelli che oravengono applauditi dovrebbero tenerlo a mente.

(Pubblicato nella TAZ il 24.8.2018)

(Traduzione dal tedesco di Stefano Porreca)