Il mio collega Attilio Bolzoni si occupa da decenni della mafia, scrive per la Repubblica, per cui ha inventato il blog: „Mafie“ – e mi ha chiesto di contribuire con un pezzo sul singolare successo della „musica della mafia“ in Germania:
La ‘Ndrangheta cantanta.
Era il 2000 quando la Germania scoprì che la mafia non è altro che un piccolo popolo minacciato dal rischio dell’estinzione, qualcosa come i Chiapas. Una cultura antica, insomma. Magari con riti bizzarri, ma comunque una cultura. E una cultura non si può giudicare in Tribunale.
Questo era il messaggio di tanti articoli usciti per promuovere la cosiddetta “musica della mafia”, considerata ancora oggi da tanti giornalisti tedeschi come „autentica cultura mafiosa calabrese”. I testi delle canzoni erano documentati in italiano e tedesco, come la canzone sull’attentato di mafia contro il generale Carlo Alberto dalla Chiesa nel 1982: “Hanno ammazzato il generale / non ha avuto tempo nemmeno per pregare / così fu mandato velocemente al Padreterno / La mafia è una legge criminale che ti lascia in pace finché vuole / ma se la stuzzichi / arriva il momento che si muove”.
Le intenzioni di questa presunta “musica popolare da diverse regioni del sud dell’Italia” erano ben chiare, ma il messaggio diffuso dai giornalisti tedeschi era: la mafia non è altro che un popolo invischiato in faide arcaiche che celebra riti incomprensibili. Un popolo che canta, balla e i cui membri alla fine si uccidono tra di loro. Niente per cui i tedeschi dovrebbero sentirsi in pericolo.
La scrittrice calabrese Francesca Viscone ha analizzato il fenomeno brillantemente nel saggio “La globalizzazione delle cattive idee. Mafia, musica, mass media” (Rubbettino Editore). Non ci sono stati giornali, radio, televisioni tedesche che non abbiano parlato del fenomeno della musica della mafia. Un fotografo calabrese è stato artefice del successo tedesco delle canzoni della ’Ndrangheta: Francesco Sbano vive tuttora ad Amburgo e ha avuto nel 2000 l’idea di produrre la cosiddetta “Musica della mafia”.
L’abilità con cui Sbano si è introdotto nelle redazioni tedesche era utile soprattutto nel momento delicato dopo la strage di Duisburg. Per la prima volta i tedeschi scoprivano di avere la mafia in casa. Sbano fu tra i primi a spiegare la ‘Ndrangheta e a mostrare “materiale video esclusivo”, invitato dall’Università di Bochum insieme ad Antonio Pelle, originario di San Luca e gestore dell’hotel Landhaus Milser a Duisburg, dove fu ospitata la squadra dell’Italia durante i mondiali di calcio in Germania nell’estate del 2006. Sbano mostrava il suo film “Uomini d’”onore”: un documentario in cui uomini con il passamontagna cavalcano per l’Aspromonte e farfugliando elevano la mafia a una specie di patrimonio dell’umanità. Un documentario che gira ancora oggi in tanti cinema tedeschi.
Per Sbano lo Stato italiano è colpevole di tutto: soprattutto delle condizioni di vita nel Sud. Si dice convinto che le finanze meridionali sarebbero risanate se la ’Ndrangheta potesse investire legalmente i suoi miliardi: „Tutti i mafiosi di alto rango con cui ho parlato mi hanno assicurato che la legalizzazione della mafia e la fine dell’economia sommersa determinerebbero un miracolo economico in Calabria. Naturalmente la mafia dovrebbe interrompere l’uso di antichi metodi barbari“, dice Sbano in un’intervista modello apparsa su „Corazon-International“ e realizzata da un suo giornalista “prescelto”: Max Dax, coproduttore del primo cd di canzoni di ’Ndrangheta.Un altro giornalista prescelto è Andreas Ulrich, corrispondente di cronaca nera del settimanale Der Spiegel. Un anno dopo il massacro di Duisburg, Der Spiegel si vantava in un editoriale che due dei suoi reporter erano stati guidati nella realizzazione di un reportage sulla ‚Ndrangheta proprio da Francesco Sbano, persona che “gode della fiducia dei boss”. Il più grande settimanale tedesco comunicava allora con orgoglio che le sue informazioni sulla mafia provenivano dalla mafia stessa.
Sbano regala al pubblico tedesco quasi ogni anno una nuova iniziativa per fornire ai tedeschi un’immagine folcloristica della mafia. Nel 2010 è riuscito ad allegare la sua musica a un libro i cui autori (tra cui Roberto Saviano) non sapevano nulla di questa compagnia: Malacarne. “Vivere con la mafia” è il titolo del volume. Insieme alle fotografie del bolognese Alberto Giuliani il “toccante documento di un´epoca” (come recitava la pubblicità dell’editore) si avvaleva del contributo dei testi di Roberto Saviano e di altre personalità note per il loro impegno contro la mafia, ma anche di due cd della Musica della Mafia. Nessuno degli autori sapeva che i loro testi sarebbero stati accompagnati dalla musica della mafia, altrimenti non li avrebbero messi a disposizione del fotografo:. Tutti i famosi autori hanno preso le distanze dall’indesiderata compagnia.
Nel 2011 Sbano ha pubblicato un libro che spiega le presunte idee di un presunto boss mafioso con il titolo curioso „L’onore del silenzio“. Un boss si confessa”. (Die Ehre des Schweigens. Ein Mafiaboss packt aus. Heyne editore). Come ha osservato la scrittrice Francesca Viscone, Sbano costruisce l’autobiografia di un boss con le regole delle fiabe: assenza di tempo, spazio e identità dei personaggi, abbondanza di riti e miti. Puro folclore mafioso. Impossibile a chiunque verificare le dichiarazioni del boss Belfiore, e persino la sua esistenza.
Andreas Ulrich, giornalista di Der Spiegel e fidato amico di Sbano ha scritto una prefazione degna dell’opera, sferrando una serie di attacchi frontali contro lo Stato italiano e contro i suoi colleghi giornalisti che hanno osato scrivere sulla mafia in Germania e i cui libri (tra cui il libro “Santa Mafia” della sottoscritta) sono stati censurati in Germania.
L’attacco più violento però viene indirizzato contro il movimento antimafia italiano: Ulrich lo definisce come “Wanderzirkus”, circo ambulante, composto di “giornalisti, fotografi, autori e attivisti d’altro genere che cavalcando l’onda della lotta dell’antimafia vogliono diventare famosi”. La storia della mafia deve essere raccontata solo dai mafiosi, dice Ulrich, gli unici credibili. Parola d’onore.Sbano e Ulrich questa volta però si sono spinti un po’ troppo lontano. Attivisti del movimento antimafia di Berlino si erano recati alla presentazione del libro di Gianluigi Nuzzi, “Metastasi”, a cui avrebbe dovuto partecipare anche Ulrich, insieme al procuratore Nicola Gratteri. Ma Ulrich, appena un giorno dopo l’uscita del libro di Sbano, era stato invitato a rimanere a casa.
Poco dopo però, nel 2013, grazie al prestigio che gli deriva dalla collaborazione allo Spiegel che lo considera “specialista di mafia”, Sbano riesce a presentare la sua musica della mafia a Berlino nell’importante Haus der Kulturen (gestito e pagato dal ministero tedesco degli Esteri). L’associazione „Mafia? Nein Danke!” manda una lettera di proteste alla direzione.
Un anno dopo però Francesco Sbano perde la calma. Fa irruzione al Museo della ‘ndrangheta di Reggio Calabria, minacciando gli operatori presenti e la scrittrice Francesa Viscone che da oltre dieci anni lo accusa di attuare una subdola strategia culturale per spacciare i valori mafiosi per cultura popolare.“Voi ci state causando un sacco di danni. Vi rovino”, ha gridato Sbano in tono inequivocabile. Ad ascoltare le urla c’erano tre giovani collaboratori del museo. Come riferisce l’associazione “Libera” in un comunicato di solidarietà, Sbano ha apostrofato Francesca Viscone in tono offensivo, con “il solito epiteto che gli uomini a corto di idee riservano alle donne”.
L’anno scorso, il tribunale di Reggio Calabria ha condannato Francesco Sbano per ingiuria, minaccia e diffamazione in seguito alla sua intrusione nel museo della ‘Ndrangheta.
Oggi Sbano gestisce un ristorante italiano ad Amburgo. Qui i clienti tedeschi vengono trattati “come i preti”. E continuano a credere che la mafia esista solo in alcuni villaggi italiani arretrati. Missione compiuta.