Mafia – senza fine.

Angela Rossi, una casertana a Monaco, mi ha intervistato per il suo blog:

Quando e come è nato il tuo interesse per il fenomeno mafia?

“Ho iniziato ad interessarmi di mafia da studentessa, all’inizio un po’ ingenuamente, dopo aver letto Il Padrino di Mario Puzo. Poco dopo sono andata con il mio fidanzato dell’epoca in una vecchia Renault 4 dal Bacino della Ruhr, dove sono cresciuta, fino a Corleone. La mafia mi interessava perché la consideravo una specie di storia di famiglia, la storia di una famiglia perversa. Sono cresciuta in una grande famiglia di profughi tedeschi di cultura cattolica, dunque sapevo già cos’è il “familismo” amorale. Ma sono ripartita subito da Corleone, delusa perché avevo visto solo vecchi con i loro berretti seduti ai margini della strada: non rispecchiavano la mia visione romanzesca della mafia. Come giornalista sono ritornata a Palermo per la prima volta nel 1989, per scrivere un reportage sulla Primavera di Palermo. Ho incontrato non solo Leoluca Orlando, ma anche la consigliera comunale Letizia Battaglia, famosa fotografa-antimafia, e la figlia Shobba, anche lei fotografa, con cui lavoro ancora oggi. Mi sono lasciata contagiare dall’euforia e dall’entusiasmo che si respiravano allora in Sicilia. Falcone e Borsellino avevano rappresentato l’accusa nel maxiprocesso e noi giornalisti avevamo la sensazione di essere testimoni di un momento storico: quel momento in cui la mafia finalmente sarebbe stata sconfitta. Che così non fosse, lo avremmo capito più tardi”.

 

Hai un tuo blog , hai scritto libri, continui ad occupartene per tenere alta l’attenzione. Sei stata minacciata per il tuo lavoro e per quello che hai denunciato attraverso i tuoi articoli per diversi giornali ed i tuoi libri. Ci racconti cosa è accaduto?

“Sono anni che scrivo sulla mafia, in Italia. Per tanti giornali tedeschi: Die Zeit, Focus, Geo eccetera. Ovviamente mi è accaduto, come accade a tanti giornalisti italiani, di essere stata aggredita durante le mie ricerche; per esempio a Corleone da un figlio di Riina (per fortuna oggi in carcere) oppure a San Luca. Nel 2007, a novembre, ero a San Luca per scrivere un reportage. Volevamo scattare delle foto della casa dei Pelle – Vottari. Pochi giorni prima era stato scoperto lì un bunker, e credevamo che tutto l’edificio fosse stato requisito, cosa che invece si dimostrò un errore fatale. Mentre stavamo lì davanti, dieci uomini uscirono di corsa e ci circondarono, intimandoci di consegnare bloc-notes e macchina fotografica. Se non fosse intervenuta una pattuglia della polizia che passava da lì per caso, non so cosa sarebbe potuto accadere. Ma questi erano incidenti di percorso.

Era invece diverso quando ho scritto il libro “Santa Mafia”, che è stato pubblicato in Germania nel 2008, un anno dopo la strage di Duisburg. La mafia si è diffusa da 40 anni in Europa, in particolare in Germania dove è arrivata al seguito degli immigrati onesti italiani. Questo è un dato di fatto, confermato dalle indagini di inquirenti italiani e tedeschi. All’inizio, la mafia si è diffusa in Germania nelle regioni industriali, a Monaco, nella regione della Ruhr (dove sono cresciuta) e attorno Stoccarda. Ma oggi si trova dappertutto, anche in città apparentemente idilliache come Münster, città universitaria, oppure la regione attorno al lago di Costanza, dove gli inquirenti calabresi hanno scoperto l’anno scorso alcuni clan della ‘ndrangheta”.

Dopo la pubblicazione di “Santa Mafia”, Erfurt era una tappa prevista nel programma di presentazione del mio libro, che mi ha portato attraverso tutta la Germania, l’Austria e la Svizzera. Davanti alla libreria mi attendeva un ufficiale giudiziario che mi notificava un provvedimento d’urgenza richiesto da Spartaco Pitanti – uno dei protagonisti del mio libro: un ristoratore che lavorava da molto tempo a Erfurt e che era stato uno dei proprietari del ristorante “Da Bruno” a Duisburg. Secondo questa disposizione, tutti i passaggi del mio libro che riguardano le attività di Pitanti dovevano essere resi illeggibili e anneriti. Questo non è certamente un inizio gradevole per una presentazione, dove mi aspettavano più di cento persone. Ho letto quindi dal mio libro, tra l’altro, anche i passaggi che riguardavano San Luca, così come quelli in cui i pubblici ministeri spiegavano la consistenza criminale dei clan di San Luca, passaggi che parlano anche di riciclaggio del denaro sporco. Dopo la mia lettura, hanno chiesto la parola diverse persone, tra queste anche l’ex sindaco di Erfurt, che hanno messo in dubbio la veridicità delle mie argomentazioni e con una certa verbosità hanno sostenuto che il riciclaggio di denaro sporco non è possibile in Germania, cosa che ho trovato piuttosto bizzarra. Ancora più strana mi è sembrata tuttavia l’osservazione di un italiano che, dopo essersi alzato tra il pubblico, lodò il mio coraggio energicamente e con aria di sufficienza (“Ammiro il suo coraggio, Signora, ammiro molto il suo coraggio”), per poi accusarmi di avere sporcato l’onore di quei signori che avevano richiesto un provvedimento urgente contro di me. Questo signore proseguì con un lungo discorso in difesa di quelle stesse persone, discorso che consisteva sostanzialmente nel mettere in discussione le mie affermazioni. Un secondo italiano si alzò e mi diede della mafiosa. Era una situazione irreale. I tedeschi presenti erano molto confusi. Alla fine della serata, mi hanno raggiunta molte persone, tra questi anche italiani, che avevano capito esattamente cos’era successo e, preoccupate, mi chiedevano se fossi da sola ad Erfurt e se fosse necessario accompagnarmi in albergo.

Questo avvenimento per me ha rappresentato una svolta epocale. Non avrei mai immaginato di poter essere aggredita, inerme e apertamente, in pubblico. Poi seguirono processi, denunce penali, lettere e chiamate minacciose. Le autorità in Germania e in Italia sono state informate di tutto ciò che è accaduto e hanno preso provvedimenti adeguati. Per un po’ ho avuto la scorta quando ero in pubblico. Quando il mio libro “Santa Mafia” è uscito in Germania, ero tranquilla perché le mie informazioni sulle attività mafiose di alcuni membri del clan Pelle-Romeo e le loro relazioni amichevoli con alcuni politici tedeschi erano basate su vari rapporti della polizia giudiziaria tedesca, su investigazioni giudiziarie italiane e tedesche. Ma questo non è stato preso in considerazione quando alla fine i tribunali hanno fatto annerire alcune pagine del mio libro “Santa Mafia” . Fino ad oggi può essere venduto solo con pagine annerite. I citati rapporti del BKA (polizia federale), oltre ad essere considerati segreti, sono stati considerati dai giudici civili tedeschi “insignificanti” , nel senso che tre rapporti interni del BKA sulle attività della ‘Ndrangheta in Germania oltre a vari indagini della magistratura tedesca e italiani non sono stati considerati sufficienti per parlare delle attività losche di un “presunto” (come avevo scritto) membro della ‘Ndrangheta. Il giudice diceva che solo una sentenza definitiva avrebbe giustificato il parlare di mafia. Cosi la stampa viene privata del diritto alla “Verdachtsberichterstattung” , ovvero il dovere della stampa di riferire un sospetto. Se la stampa ha solo il diritto di riferire sentenze già avvenute, non può più fare il suo dovere di “cane di guardia”.

Hai indagato nei rapporti tra mafia e chiesa, cosa c’è di vero e di reale ? Quali le connivenze?

“E’ singolare che tutti mafiosi sottolineano sempre di credere nel giudizio di Dio e non in quello degli uomini. La mafia ha capito dall’inizio che non può esistere se non finge di sostenere la chiesa. Ci sono motivi storici per questo, in quanto la chiesa cattolica non era molto favorevole all’unità italiana. Considerava lo Stato forte come concorrenza. Forse questo non è neanche tanto cambiato dopo 150 anni. La mafia ha adattato in maniera perversa i valori cattolici per se stessa: “Onora il padre e la madre” vuol dire: mantieni la cosca mafiosa, il “Non dire falsa testimonianza” è necessario perché un mafioso deve poter fidarsi dell’altro. Persino il “Non commettere adulterio” ha un significato particolare per i mafiosi: non per motivi di etica, ma per praticità, perché una donna tradita potrebbe essere incontrollabile, potrebbe voler vendicarsi e sbilanciare l’equilibrio di una cosca mafiosa. E poi il “non uccidere” viene interpretato come da un soldato in missione – un mafioso si deve convincere che non uccide per motivi personali e dunque non ha rimorsi. In Santa Mafia ho descritto l’incontro con due preti molto particolari – ma non nel senso positivo: Don Mario Frittita a Palermo e Don Pino a San Luca. E anche nel mio libro Sulla strada per Corleone ho descritto l’ambiguità tuttora vigente della chiesa verso la mafia. Credo che Papa Francesco è stato convinto quando ha condannato la mafia. Ma a parte queste esternazioni papali, purtroppo ancora oggi non c’è un documento ufficiale antimafia del Vaticano”.

 

L’avvalersi dei cosiddetti pentiti, con tutte le concessioni che vengono loro fatte nel momento in cui decidono di collaborare, non rappresenta un’arma a doppio taglio?

“Certo, ma questo era cosi dall’inizio. Ma se ho capito bene, non ci sono neanche più cosi tante concessioni, oggi. E, forse, questo sarà anche il motivo per cui ci sono sempre meno pentiti”.

 

E’ realmente ancora fondamentale, oggi, la loro collaborazione?

“Penso di si. Anche se il valore della collaborazione è stato diminuito nel passare degli anni da tanti provvedimenti e nuove leggi parlamentari. Sarà un caso. Mi preoccupa piuttosto che lo Stato italiano utilizzi i pentiti spesso come oggetti usa e getta: finita la tua collaborazione, non ti protegge più nessuno”.

 

Il ruolo delle donne nella mafia …

“La mafia consiste dall’inizio di donne e uomini. Hanno compiti e ruoli diversi, ma non ho mai creduto che le donne siano vittime innocenti di mariti mafiosi. Questo è stato solo un trucco per farlo credere al mondo – e soprattutto agli inquirenti – cosi le donne potevano continuare il loro lavoro dentro la mafia senza essere sospettate”.

 

Ci parli dei tuoi libri? Ce n’è uno che ti è particolarmente caro?

“E’ sempre difficile per uno scrittore dire a quale libro tieni; soprattutto, quando ne preferisci uno ti senti come un traditore verso gli altri… Ho scritto tanti libri – di cui tre sono stati tradotti in Italiano: “Rita Atria – la picciridda dell’antimafia” ; “Santa Mafia” ; “Sulla strada per Corleone”. “Santa Mafia” è stato, oltre che un libro, anche un’ esperienza di vita: non mi sarei immaginata quanto è facile in Germania minacciare e fare causa contro un giornalista facendo riferimento alla presunta violazione dei “diritti della personalità”: chi si sente diffamato o privato nei suoi „diritti della personalità“ può essere risarcito profumatamente e – soprattutto – riesce anche ad annerire libri. Ancora oggi mi viene la rabbia quando vedo le pagine annerite.

Ma ho scritto anche altri libri narrativi: sulla storia della mia famiglia di profughi, su mia madre, su Venezia e sull’Italia. Dunque sono sempre stata scrittrice oltre ad essere giornalista. Anche per questo motivo ho scelto di scrivere adesso un noir sulla mafia. Scrivere romanzi significa per me non solo più soddisfazione creativa, ma mi aiuta anche a descrivere una realtà sociale senza dover perdere il mio tempo a difendermi nei tribunali tedeschi. Per questo ho preso a cuore quello che lo scrittore francese Louis Aragon definiva come il „mentire vero“: le mentir vrai. Lo scrittore svela la realtà inventandola. Il mio primo romanzo sulla mafia si chiama “Palermo Connection„. Ho inventato una donna magistrato di nome Serena Vitale (si fa chiamare Serena, perché il suo nome di battesimo è Santa Crocifissa Vitale, poveretta) che lavora nella procura antimafia di Palermo. Fa un processo contro un ministro accusato di collaborare con la mafia. E poi c’è un il giornalista tedesco: Wolfgang W. Wieneke. Tutto esiste solo nella mia fantasia. Eppure è tutto vero. Per citare Umberto Eco: ”E’ ovvio che chi fa metafore, letteralmente parlando, mente e tutti lo sanno. Ma questo problema si ricollega a quello più vasto dello statuto aletico e modale della finzione: come si fa finta di fare asserzioni e tuttavia si vuole asserire qualcosa di vero al di là della verità letterale.” E’ proprio questo che ho voluto fare con „Palermo Connection“. Ho mentito. Per dire la verità.

Poi ho scritto un seguito: “Die Gesichter der Toten. Serena Vitales zweiter Fall” . Sempre con gli stessi protagonisti: Serena Vitale e, come anti-eroe, il giornalista Wolfgang W. Wieneke. Nel secondo libro ho descritto gli interessi della mafia nell’energia eolica in Italia e in Germania. Finora questi romanzi non sono ancora stati tradotti, ma io non abbandono la speranza che lo siano presto”.

 

Continui a cercare, attraverso il tuo lavoro, di far capire che , purtroppo, la mafia non è più, da tempo, un fenomeno solo italiano ma che da anni ha trovato ampi spazi proprio in Germania. Qual è l’atteggiamento dei Tedeschi verso questa realtà?

“Continuo a scrivere i miei romanzi noir sulla mafia, in questo momento sto scrivendo il terzo. Anche perché spero di arrivare così ad un pubblico più vasto. È più divertente leggere un romanzo sulla mafia che un saggio. I tedeschi sono molto interessati, ma purtroppo manca l’informazione”.

 

Quali sono , a tuo giudizio, le differenze tra il giornalismo tedesco e quello italiano?

“Oggi devo dire che non vedo più cosi tante differenze. La politica influenza molto anche i giornalisti tedeschi, sarà anche perché i giornalisti hanno la tendenza a sentirsi attratti dal potere. Ma paragonato con l’Italia, forse c’è ancora un po’ più di varietà mediatica in Germania. In Italia non vedo varietà, a parte il Fatto Quotidiano”.

 

Infine, ci parli del tuo prossimo progetto? A cosa stai lavorando?

“Terzo libro della serie “Serena Vitale”. Questa volta voglio parlare degli interessi della mafia nel business dei profughi … E mi sto divertendo molto”.